Un albero di Mandorlo in piena fioritura

di Massimo Brucato

Questo è il primo di una serie di articoli che riguarderanno l’agroalimentare del territorio
agrigentino. E mi sembra opportuno, visto che la Sagra del mandorlo in fiore è appena finita, di cominciare parlando appunto della pianta del mandorlo. E parto raccontando un episodio vissuto in prima persona. Un giorno di diversi anni fa ero in una delle sale del castello di Favara per raccontare a una platea di studenti e comuni cittadini qualcosa sulle nostre mandorle e sui dolci della tradizione basati su questi generosi frutti. A un certo punto mollai lì un proverbio: “Pì fari l’agneddu ci voli ‘a Pullara”. Aggiungendo: “chi sa cosa vuol dire”? Silenzio di tomba per una trentina di secondi, poi si alza un vecchietto smilzo e mi fa: “certo, per fare l’agnello pasquale favarese ci vuole la mandorla Pullara”. E poi spiegai che quella varietà di mandorla locale dava il massimo nella trasformazione nel famoso dolce favarese. Ma la varietà Pullara si usa ancora per fare l’Agnello pasquale? Non più. Non sappiamo nemmeno se esista tuttora una pianta di Pullara. E la fine della Pullara l’hanno fatta un’altra miriade di varietà locali, soppiantate da più perfomanti varietà, non certo locali. Alla faccia della biodiversità.
Qualche decennio fa l’Assessorato Regionale Agricoltura e Foreste, grazie ai suoi uffici periferici – le compiante e rimpiante SOAT (Sezioni Operative di Assistenza Tecnica) – insieme ad altri Enti, in primis la Soprintendenza ai Beni Culturali e Ambientali di Agrigento, decise di creare un museo vivente del mandorlo, oggi ricadente nel territorio del Parco, per regalare alle future generazioni un’idea della ricchezza varietale della mandorlicoltura siciliana. E il museo, intitolato al grande studioso di frutta secca Antonio Monastra, lo possiamo vedere da vicino nel piano che si allunga tra la SS640 e il colle del Tempio di Giunone.
Era circolata nei giorni scorsi la voce di un convegno, dedicato alla mandorlicoltura, da fare nella nostra città nei giorni della Sagra, ma non se ne è saputo più nulla. Peccato, perché sarebbe stata una bella occasione di aggiungere a canti e balli anche un po’ di informazione sul presente e sul possibile futuro di una pianta iconica del nostro territorio.